Francesco Lo Savio è stata una delle personalità più problematiche dell’avanguardia postinformale italiana, riconosciuto accanto a Piero Manzoni come uno dei maggiori protagonisti dell’apertura europea dell’arte italiana. Lo Savio fu un artista in anticipo sui tempi e la sua opera fu valorizzata subito dopo la morte, avvenuta a 28 anni a Marsiglia, dove il giovane si tolse la vita gettandosi da un balcone dell’Unité d’Habitation di Le Corbusier. Eppure, Lo Savio è anche l’artista che meglio di tutti fu in grado di raccontare il passaggio dagli anni Cinquanta ai Sessanta, così fortemente incentrato sul tentativo modernista di una rigenerazione utopica del mondo. La sua pratica, infatti, liberata da ogni concetto formale, rifugge dal rappresentare e dal significare, per divenire un’esperienza assoluta e universale.
Lo Savio esordì nel 1958 al Premio Cinecittà, una mostra collettiva organizzata dal Partito Comunista Italiano, e alla quale parteciparono altri nomi importanti del panorama artistico del tempo, come: Mario Schifano, Sergio Lombardo, Renato Mambor e suo fratello Tano Festa. Tuttavia, abbandonate queste prime esperienze, vicine al lessico informale, nel 1959 si dedicò agli SpazioLuce, dipinti monocromi su tela, che permettono di analizzare le possibilità energetiche del colore. Si tratta di opere in cui la lievissima variazione luministica del colore genera un arco di effetti spazio-luminosi che, dalla bidimensionalità della superficie pittorica, si espandono nell’ambiente.
L’amicizia con Toti Scialoja permise a Lo Savio di essere accolto nel 1960 presso la Galleria La Salita di Roma. Lo stesso anno, la Galleria Selecta di Roma gli dedicò una prima mostra personale, mentre la Galleria Il Cancello di Bologna lo incluse in una mostra collettiva curata da Emilio Villa.
Sebbene nel 1961 iniziassero anche le esposizioni internazionali delle opere dell’artista, queste non furono ben accolte, suscitando nel giovane non poche frustrazioni. Nel 1963, fu stampato il suo primo ed unico libro, Spazio luce: evoluzione di un’idea, edito nuovamente nel 1975 e curato in quest’occasione da Germano Celant. Il testo, dedicato “alla memoria di Piet Mondrian” e curato in ogni dettaglio dall’artista, partendo dagli studi di architettura contemporanea connotati da forti interessi ideologici e sociali e combinando le influenze di Bauhaus, Suprematismo, Mondrian e De Stijl, indicava quale fosse l’intento della pratica artistica di Lo Savio.
Le opere dell’artista, caratterizzate da forme geometriche e colori essenziali, divennero come un motore che irradia energia. Questi lavori necessitano di essere visti dal vivo, affrontati, pensati e vissuti e, solo allora, si riuscirà a percepire la loro carica spirituale. Spazio-Luce, Filtri, Metalli, Articolazioni Totali: questi sono i cicli di opere realizzati, che rappresentano l’evoluzione della sua ricerca, incentrata sul dialogo dell’opera con lo spazio e la luce. Sono poi sopravvissuti alcuni progetti ed un modellino per la Maison au soleil, trasposizione architettonica del suo pensiero artistico.
Attraverso “l’azione addizionale di varie superfici semitrasparenti” con le forme geometriche del cerchio e del quadrato, nei Filtri Lo Savio creò un moto di depotenziamento cromatico all’interno dell’opera che a sua volta genera quella dinamica di assorbimento della luce da lui ricercata.
Assorbimento della luce che diventa ancora più evidente nella serie dei Metalli, realizzata a partire dal 1960, grazie al trattamento della loro superficie opaca. Con queste opere Lo Savio uscì dai limiti restrittivi del rettangolo pittorico, prendendo contatto diretto con l’ambiente e mettendo in evidenza la loro spazialità.
In un suo appunto scriveva: «l’essere umano è l’unico esempio di perfezione strutturale e massima libertà statica con equilibrio variabile». La sua ricerca doveva quindi giungere alla costruzione di un nucleo che lo comprendesse, le Articolazioni Totali, strutture di cemento attraversate da lastre di metallo in totale dialogo con lo spazio e la luce.
La riscoperta dell’opera di Lo Savio, come si è detto, avvenne dopo la morte dell’artista. Nel 1968, alcune sue opere furono incluse in Documenta IV a Kassel, nel 1972 altre furono inserite alla XXXVI Biennale di Venezia. Inoltre, figurò nella mostra Cento opere d’arte italiana dal Futurismo a oggi della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma (1969) e in Linee della ricerca contemporanea della XXXIV Esposizione internazionale d’arte. Nel 1979, inaugurò una prima importante mostra retrospettiva, curata da Germano Celant presso il Padiglione d’Arte Contemporanea (PAC) di Milano. Fu questa la prima occasione in cui furono raccolte opere dal 1958 al 1963: Dipinti, Metalli, Filtri, Articolazioni che segnarono il momento di passaggio dalla pittura logica alla scultura minimale e concettuale, insieme ai progetti architettonici e urbanistici. Altre retrospettive gli furono dedicate nel 2009 dal Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, e nel 2018 dalla Galleria Mattia De Luca e dal Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto.
Le opere di Francesco Lo Savio appartengono oggi a diverse collezioni italiane, come per esempio, quella della Galleria civica d’Arte Moderna e Contemporanea (GAM) di Torino, quella della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, quella della Fondazione Biscozzi Rimbaud di Lecce, quella di Fondazione Prada a Milano, quella del Museo Madre di Napoli e, infine, quella della Collezione Roberto Casamonti di Firenze.