Originario di Città di Castello, Alberto Burri in un primo momento della sua vita decise di dedicarsi ad una strada diversa rispetto a quella artistica: si iscrisse, infatti, alla Facoltà di Medicina dell’Università di Perugia, dove si laureò nel 1940. Qualche mese più tardi, fu chiamato alle armi con il grado di Tenente Medico di Complemento. Tornò nell’esercito nel 1943 e fu collocato d’istanza in Africa Settentrionale. Catturato dagli Inglesi durante la resa italiana, trascorse diciotto mesi di prigionia nel campo di concentramento di Hereford, Texas.
Finalmente, nel 1946 fece ritorno in Italia, stabilendosi a Roma dove affittò uno studio insieme allo scultore Edgardo Mannucci: era ormai maturato il tempo di dedicarsi all’arte.
La prima mostra personale, ancora di carattere figurativo, si svolse l’anno successivo presso la Galleria La Margherita di Gaspero del Corso e Irene Brin, con la presentazione dei poeti Libero De Libero e Leonardo Sinisgalli. Lo stesso anno espose all’Art Club, istituzione alla quale Burri rimase affiliato fino ai primi anni Cinquanta, proponendo le sue opere sia in Italia che all’estero. Nel 1948 fu la volta sella seconda mostra personale Bianchi e Catrami a La Margherita, questa volta con una selezione di opere astratte. Risale sempre al 1948 il primo viaggio a Parigi, città in cui Burri visitò lo studio di Jean Mirò, conobbe l’opera di Alberto Magnelli e quanto si esponeva alla Galleria René Drouin, uno dei centri dell’Informale. Nel 1949, realizzò SZ1, il primo sacco stampato. Nel 1950, anno di grande sperimentazione, l’artista iniziò a dedicarsi anche alla serie delle Muffe e a quella dei Gobbi, oltre che al primo sacco di juta rattoppato e ricucito.
L’anno successivo, partecipò alla formazione del Gruppo Origine insieme ai colleghi Mario Ballocco, Giuseppe Capogrossi e Ettore Colla. Nel 1952 fu la volta della mostra Neri e Muffe alla Galleria dell’Obelisco di Roma e di Omaggio a Leonardo presso la Fondazione Origine. Sempre nel corso del 1952, ebbe luogo la prima prova di Burri per poter esporre alla Biennale di Venezia. Se qui Lo Strappo venne rifiutato, fu invece accolto Lo Studio per lo Strappo, acquistato più tardi da Lucio Fontana. Questi, inoltre, fu insieme a Burri e ad altri artisti promotore e firmatario del Manifesto del movimento spaziale per la televisione.
Nel 1953 cominciò a strutturarsi il grande successo internazionale dell’artista che si aggiudicò una prima mostra, Alberto Burri: paintings and collages, alla Allan Frumkin Gallery di Chicago, trasferita alla fine dell’anno alla Stable Gallery di Eleanor Ward a New York. Dopo l’incontro con Johnson Sweeney, allora direttore del Solomon R. Guggenheim Museum, nel 1955 fu pubblicata la prima monografia dedicatagli e alcune sue opere furono incluse nell’attività espositiva del museo. L’anno si concluse con una nuova mostra alla Fondazione Origine, presentata da Emilio Villa.
Nel 1955, cinque lavori furono esposti alla The new decade: 22 European painters and sculptors, organizzata dal MoMA e contemporaneamente si materializzò la partecipazione dell’artista alla Quadriennale di Roma e alla Biennale di San Paolo.
L’attività espositiva di Burri continuò durante tutti gli anni Cinquanta, mentre agli inizi degli anni Sessanta cominciarono a essere organizzate anche le prime ricapitolazioni antologiche delle sue sperimentazioni in mostre organizzate a Parigi, Roma, L’Aquila, Livorno, Torino, Houston, Minneapolis, Buffalo, Pasadena, Darmstadt e Rotterdam.
Nel 1963 fu la volta della presentazione degli ultimi lavori alla Galleria Marlborough di Roma, realizzati con pellicola di plastica trasparente. Una stagione quella delle Plastiche, che si protrasse per tutto il decennio e che trovò il supporto critico di Cesare Brandi, il quale dedicò all’artista una fondamentale monografia nel 1963. Nel corso degli anni Sessanta, inoltre, opere di Burri furono esposte alla mostra Contemporary Italian Paintings, organizzata in diverse città australiane, e alla Peintures italiennes d’aujourd’hui, tra il Medio Oriente e il Nordafrica.
Gli anni Settanta si aprirono all’insegna di soluzioni monumentali come quella dei Cretti e dei Cellotex. Nel 1973, seguendo il filone dei Cretti, Burri rivestì con un sudario di cemento i resti di Gibellina, città siciliana distrutta da un terremoto, creando così il suo primo ed unico esempio di land art.
Nel 1976, con il supporto del ceramista Massimo Baldelli, Burri diede vita al Grande Cretto Nero (1985-1989), esposto nel giardino delle sculture Franklin D. Murphy dell’Università di Los Angeles (UCLA). Un’opera analoga fu esposta anche al Museo di Capodimonte a Napoli.
Nel 1977, fu la volta della mostra antologica, Alberto Burri. A retrospective View 1948-77, organizzata al Solomon R. Guggenheim Museum di New York. Due anni più tardi, l’artista diede vita ai Cicli: formati da dieci monumentali composizioni che ripercorrevano i momenti più significativi della sua produzione e dunque del viaggio artistico compiuto fino a quel momento, oggi permanentemente esposti agli Ex-Seccatoi del Tabacco di Città di Castello (PG). Nel 1981, mentre l’esposizione nazionale e internazionale dei Cicli era appena iniziata, fu inaugurata la Fondazione Burri di Palazzo Albizzini, sempre a Città di Castello (PG).
Nel corso degli anni successivi, le opere di Burri furono esposte a Brera, in occasione dell’inaugurazione del settore d’Arte Contemporanea del museo; alla mostra The Italian Metamorphosis 1943-1968 presso il Solomon R. Guggenheim; alla Pinacoteca Nazionale di Atene ed, infine, agli Uffizi. Ed anche dopo la morte dell’artista, sue opere furono esposte in alcuni tra i più importanti musei al mondo quali: il Centro Georges Pompidou, la Tate Gallery di Londra, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, il Castello di Rivoli e il Solomon R. Guggenheim Museum.