Mario Merz

Con opere conservate in importanti collezioni italiane, come il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato, il Museo d’arte Moderna di Bologna, il Museo d’Arte Contemporanea di Rivoli, il MAXXI di Roma, il Museo Nazionale di Capodimonte e la Peggy Guggenheim Collection di Venezia, Mario Merz è stato uno dei rappresentanti di spicco dell’Arte Povera.
Nato a Milano, ma cresciuto a Torino, qui frequentò per un paio d’anni la Facoltà di Medicina. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, però, decise di dedicarsi esclusivamente alla pittura, incoraggiato dal critico Luciano Pistoi. Al principio, i suoi lavori, principalmente olio su tela, scelsero di concentrarsi su uno stile astratto-espressionista, salvo poi passare al trattamento informale del dipinto. Nel 1954 venne allestita la sua prima personale, presso la Galleria La Bussola di Torino.
A metà degli anni Sessanta, però, Merz definì di abbandonare la pittura, in favore della sperimentazione di nuovi materiali, come per esempio i tubi al neon, il ferro, la cera e la pietra.
Fu presente, sin dagli esordi, alle prime mostre dell’Arte Povera, partecipando sia alla prima esposizione curata da Germano Celant presso la Galleria La Bertesca di Genova (1967), sia alle successive manifestazioni del gruppo – formato, tra gli altri, da Michelangelo Pistoletto, Giuseppe Penone e Luciano Fabro – che si riuniva presso la Galleria torinese di Gian Enzo Sperone.
A partire dal 1968, Merz superò definitivamente la bidimensionalità del quadro, cominciando a realizzare gli Igloo: strutture archetipiche assemblate con una varietà di materiali diversi come pietre, rami e neon. Un paio d’anni più tardi introdusse nelle sue opere una seconda cifra distintiva del lavoro: la successione di Fibonacci. Si tratta di una serie numerica, nota anche come successione aurea, in cui ciascun numero è il risultato della somma dei due che lo precedono. È associata, secondo la costruzione geometrica che la caratterizza, ad una coclide. Da qui il continuo riferimento che l’artista fa alle spirali, o anche semplicemente alle successioni: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, e così via.
Merz intendeva la serie di Fibonacci come un emblema dell’energia insita nella materia e della crescita organica e la propose in diverse occasioni: durante l’istallazione luminosa, Il volo dei numeri, su una delle pareti della Mole Antonelliana a Torino (2000), sulle mura di San Casciano in Val di Pesa accanto alla scultura di un cervo (1997), sulla ciminiera della compagnia elettrica Turku Energia, in Finlandia (1994) e, ancora prima di questi esperimenti, al Guggenheim Museum di New York (1971), sulla Mole Antonelliana (1984) e al Castello di Rivoli (1994).
Nel 1992, Merz installò il primo Uovo Filosofico nell’atrio della stazione centrale di Zurigo. Si tratta di spirali rosse realizzate con tubi al neon e animali sospesi recanti i numeri di Fibonacci. Nel 1970, inoltre, introdusse anche il Tavolo, quale ulteriore elemento tipico e archetipico del suo lavoro, e dalla metà del decennio eseguì installazioni composite, frutto dell’assemblaggio complesso di igloo, neon e tavoli, sulle cui superfici disponeva alcuni frutti in modo che, lasciati al loro decorso naturale, introducessero nell’opera la dimensione dello scorrere del tempo reale.
A partire dalla fine degli anni Settanta, Merz fece ritorno anche alla figurazione pittorica, delineando grandi immagini di coccodrilli, rinoceronti e iguane su tele non incorniciate e dalle grandi dimensioni.
Sono state moltissime, le mostre nazionali e internazionali dedicate all’opera di Mario Merz, a partire dall’inizio degli anni Settanta. Tra queste si ricorda quella organizzata nel 1972 dal Walker Art Centre di Minneapolis, oppure l’esposizione della Kunsthalle di Basilea (1981), del Moderna Museet di Stoccolma (1983), del Museum of Contemporary Art di Los Angeles e del Solomon R. Guggenheim Museum di New York (1989), della Fundaciò Antoni Tàpies di Bercellona (1993), del Castello di Rivoli e del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci (1990), della Galleria Civica di Trento (1995) e del Carré d’Art di Nîmes (2000). Nel 2003, inoltre, l’artista fu insignito del Praemium Imperiale dell’Imperatore del Giappone.
Dal 2005, l’opera dell’artista è tutelata e valorizzata dall’omonima Fondazione con sede a Torino, che ne gestisce anche l’archivio.

Fondazione o Archivio di riferimento

Bibliografia scelta

  • Disch M. (a cura di), Mario Merz’s Catalogue Raisonné, Vol. 1, Igloos, in press.
  • Todolì V. (a cura di), Mario Merz – Igloos. Milano: Mousse Piblishing, 2020.
  • Merz M., Mario Merz – La natura è l’equilibrio. Torino: Fondazione Merz, 2016.
  • Pietromarchi B. (a cura di), Mario Merz – Città irreale. Milano: Skira, 2015.

Fondazione o Archivio di riferimento

Bibliografia scelta

  • Disch M. (a cura di), Mario Merz’s Catalogue Raisonné, Vol. 1, Igloos, in press.
  • Todolì V. (a cura di), Mario Merz – Igloos. Milano: Mousse Piblishing, 2020.
  • Merz M., Mario Merz – La natura è l’equilibrio. Torino: Fondazione Merz, 2016.
  • Pietromarchi B. (a cura di), Mario Merz – Città irreale. Milano: Skira, 2015.