Carlo Carrà

Costretto a letto da una lunga malattia a soli dodici anni, Carlo Carrà iniziò proprio durante questo periodo ad apprendere, in maniera autonoma, i rudimenti del disegno. Intraprese, invece, la sua vera e propria attività artistica come decoratore, prima a Valenza (AL) e poi a Milano, dove frequentò la Scuola Superiore di Arte Applicata all’Industria del Castello Sforzesco. Negli anni a cavallo tra i due secoli, Carrà visitò prima Parigi e poi Londra. Nella capitale francese partecipò come decoratore di alcuni padiglioni all’Esposizione Universale, ed apprezzò le opere degli Impressionisti al Louvre. A Londra conobbe, invece, le opere di John Constable e quelle di William Turner.
Nel 1906 entrò all’Accademia di Brera, dove conobbe, tra gli altri, Aroldo Bonzagni, Filiberto Sbardella e Umberto Boccioni. In un primo momento, Carrà scelse il Divisionismo come corrente a cui aderire per superare il provincialismo della pittura italiana di quegli anni. Tuttavia, nel 1909, con la pubblicazione del Manifesto del futurismo, non vi furono molti dubbi su quella che sarebbe stata la strada che il giovane artista avrebbe intrapreso per dar vero corpo al proprio desiderio di rinnovamento. In tutto, Carrà collaborò con il Movimento Futurista per sei anni, realizzando opere come, per esempio: La stazione di Milano (1910-11), Luci Notturne (1910-11), Donna al balcone (1912), Trascendenze plastiche (1912) e Manifestazione interventista (1914).
Nel 1910 firmò il Manifesto dei pittori futuristi e il Manifesto tecnico della pittura futurista, nel 1912 ideò il Manifesto della pittura dei suoni, rumori, odori. Lo stesso anno dedicò a Leda Rafanelli, sua amante, l’opera sui Funerali dell’anarchico Galli, ideata qualche anno prima (1910-1911).
Nel 1916, Carrà interruppe l’adesione al Movimento, preferendo dedicarsi alla Metafisica. Già nel 1915, l’artista sentì l’esigenza di abbandonare i temi del dinamismo e della velocità a favore di un contatto più strutturato con il reale. Si aggiunga a questo l’esperienza della Grande Guerra, che Carrà visse prima come convinto interventista, come del resto moti altri Futuristi, e che in realtà lo logorò a tal punto da provocargli un esaurimento nervoso per cui si rese necessario il ricovero in una struttura nei pressi di Ferrara, città in cui conobbe nel 1917 Giorgio De Chirico, Alberto Savinio e Filippo de Pisis, artisti con i quali definì i principi della Metafisica. Opere di questo periodo sono: Il cavaliere occidentale (1917), L’idolo ermafrodito (1917), Madre e figlio (1917) e la famosissima Musa metafisica (1917).
Nel 1919, così come anni prima Carrà si era dedicato a Lacerba, la rivista simbolo del Movimento Futurista, ora strinse un sodalizio importante con Valori Plastici, che si interruppe solo con la chiusura della rivista nel 1921. Lo stesso anno dipinse Le figlie di Loth (1919) – opera che segna il passaggio dalla Metafisica al Realismo Magico, in un percorso in cui mostra di aver sposato la poetica di Ritorno all’Ordine professata proprio su Valori Plastici – seguite nei primi anni Venti da opere come L’amante dell’ingegnere (1921), Meriggio (1923) e L’attesa (1926).
Si dice in genere che nel periodo storico dominato culturalmente dalla retorica fascista, gli artisti fossero spinti a ritrovare le radici italiche della pittura. Fu così che Carrà si rivolse ai Maestri dell’ultimo Medioevo e del primissimo Rinascimento come Giotto e Masaccio, nella ricerca di un linguaggio idealizzato e pulito, arcaicizzante e minimo.
All’inizio degli anni Venti, soprattutto a seguito di due soggiorni estivi, Carrà riscoprì la natura, come dimostra l’opera Vele nel Porto (1923).
Nel 1926 entrò a far parte del gruppo Novecento, essendo sempre più ispirato dalla pittura francese contemporanea – soprattutto Paul Cezanne, forse ancor più che per i temi, certamente per la purezza delle forme – e dai pittori Primitivi italiani. Il richiamo invece ad un altro pittore francese, Georges Seurat, si fece manifesta in opere risalenti alla fine degli anni Venti e agli anni Trenta, curiosamente tutte a tema marino, come per esempio: I nuotatori (1932), Barcaiolo (1930), Mattino al mare (1928), Paesaggio marino (1932).
Carrà probabilmente è stato il pittore più antico del Novecento italiano, quasi romantico nel suo attaccamento alla Versilia e ai suoi paesaggi marini, ai quali tornò sempre nonostante i viaggi: dai Capanni sul mare (1937), a Chiaravalle (1938), alla Prostituta (1945), a Venezia (1946), a Marina a Camogli (1957), a Casa di Merate (1959). Opere costruite con un ordine fantastico, pensate per emulare la dimensione tanto formale quanto morale degli antichi.
L’artista insegnò all’Accademia di Brera dal 1939 al 1952, morì a Milano nel 1966.

Bibliografia scelta

  • Bandera Viani M. C. (a cura di), Carlo Carrà. Venezia: Marsilio, 2018.
  • Rovati F., Carrà tra futurismo e metafisica. Milano: Scalpendi Editore, 2011.
  • Carrà M. (a cura di), Carlo Carrà: la mia vita, dipinti e disegni (1903-1965). Roma: Viviani Arte, 2003.
  • Carrà M., Carlo Carrà. La mia vita. Milano: Abscondita, 2002.

Bibliografia scelta

  • Bandera Viani M. C. (a cura di), Carlo Carrà. Venezia: Marsilio, 2018.
  • Rovati F., Carrà tra futurismo e metafisica. Milano: Scalpendi Editore, 2011.
  • Carrà M. (a cura di), Carlo Carrà: la mia vita, dipinti e disegni (1903-1965). Roma: Viviani Arte, 2003.
  • Carrà M., Carlo Carrà. La mia vita. Milano: Abscondita, 2002.