Alighiero Boetti

Di origini torinesi, secondogenito di Corrado Boetti, avvocato, e Adalgisa Marchisio, violinista, Alighiero Fabrizio Boetti nacque il 16 dicembre 1940.
Si avvicinò all’arte da autodidatta dopo aver lasciato gli studi in Economia e Commercio nel 1955. Gli anni di formazione guardarono, oltre che alla vita artistica e culturale del capoluogo piemontese, all’Espressionismo Astratto Americano, allo Spazialismo di Lucio Fontana, all’opera di artisti come Henri Michaux e Giacomo Balla. Tra il 1963 e il 1964 si trasferì a Parigi in seguito al matrimonio con la critica Annemarie Sauzeau: in quel soggiorno subì la fascinazione delle opere di Nicolas de Stael, Jean Dubuffet e André Malraux.
Nel gennaio 1967 si tenne la prima mostra personale alla galleria Christian Stein di Torino: tra le opere, una selezione di lavori dalla natura oggettuale, venne esposta anche la Lampada annuale (1966).
La sperimentazione sui materiali come elementi significanti e il loro valore di generazione di immagini fece sì che il lavoro di ricerca di Boetti fosse incluso dal critico Germano Celant nel movimento dell’Arte Povera, teorizzato nel saggio-manifesto del 1967 apparso sulla rivista Flash Art. Boetti prese effettivamente parte ad alcune delle più importanti manifestazioni artistiche che videro coinvolto il gruppo dei Poveristi piemontesi (Arte povera-IM spazio alla galleria La Bertesca di Genova, 1967; Arte Povera + Azioni Povere presso gli Antichi Arsenali della Repubblica di Amalfi, 1968) pur mantenendo sempre un profilo indipendente che presto lo portò a proseguire la propria attività al di fuori delle fila del movimento. Nel 1969 partecipò alla celebre mostra When Attitudes Become Form, curata da Harald Szeemann a Berna, Londra e Krefeld. Nel 1974 inaugurò la prima personale organizzata da un’istituzione pubblica al Kunstmuseum di Lucerna. In questi anni Boetti sperimentò una nuova forma della propria identità: il doppio dell’artista si diede come entità autonoma, e Alighiero & Boetti diventarono due individui gemelli. Tra il 1969 e il 1970 nacquero i primi Viaggi postali, uno strumento che estese la vita delle opere nel tempo e nello spazio e che mise profondamente in discussione il concetto stesso di autorialità.
All’inizio degli anni ’70, l’artista realizzò in collaborazione con la moglie degli studi tassonomici per la mappatura e l’enumerazione dei fiumi di tutto il mondo, ricerca che trovò il proprio esito nella mostra personale del 1983 presso la galleria torinese di Franz Paludetto.
Gli anni dal 1971 al 1979 furono segnati dai periodici soggiorni di Boetti in Afghanistan, a Kabul, dove insieme a Gholam Dastaghir gestì l’One Hotel, trasformandolo nel proprio laboratorio di creazione artistica. In questa fase matura una nuova consapevolezza del fare artistico, in cui l’autorialità e la dimensione ideativa si integrarono alla processualità corale e reiterata del lavoro artigiano: presero vita così i lavori tessili commissionati alle ricamatrici afghane, che ne divennero vere e proprie co-autrici (Mappe; Ricami).
Nel frattempo, a partire dal 1972, Boetti e la sua famiglia si trasferirono a Roma, dove l’artista stabilì il suo studio-laboratorio in piazza Sant’Apollonia, nel rione di Trastevere. A questo periodo risalgono le prime opere a biro, in cui le campiture riempite a penna diventano il fondale di un sistema di messaggi criptati. In quello stesso anno, l’artista espose a Documenta 5 a Kassel e alla X Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma.
Agli inizi degli anni ’70 appartengono anche i primi lavori a ricamo in cui Boetti “mette al quadrato” il linguaggio (Ordine e disordine, 1973; Segno e disegno, 1977; Dare tempo al tempo, 1977) scomponendolo nei suoi elementi costituitivi e inserendolo in una griglia che ribalta le convenzioni linguistiche.
Nel 1978, inaugurò l’antologica curata da Jean-Christophe Ammann alla Kunsthalle di Basilea, in cui vennero esposti, tra le altre opere, gli Aerei del 1977. L’invasione sovietica dell’Afghanistan non impedì a Boetti di proseguire con le filiere di lavorazione delle Mappe e dei Ricami, portandolo a lavorare ad opere su carta, esercizi linguistici e narrazioni diarisitiche.
Nel 1983, trovarono forma i Tutto, nati dalla collaborazione con le tessitrici afghane rifugiate a Peshawar, in Pakistan: in questa nuova serie di arazzi gli oggetti di uso quotidiano si agglomerano e saturano l’intera superficie.
Nel febbraio 1993 si tenne la sua ultima personale in Italia, presso la Galleria Christian Stein, la stessa che aveva ospitato la prima personale dell’artista. Morì a Roma il 24 aprile 1994.

Bibliografia scelta

  • Amman J. C., Alighiero Boetti. Catalogo generale. Milano: Electa, 2009-2023.
  • Boetti A., Il gioco dell’arte, Milano: Electa, 2016.
  • Amman J. C., Roberto M. T., Sauzeau A., Alighiero Boetti: 1965 – 1994. Milano: Mazzotta, 1996.
  • Amman J. C., Alighiero e Boetti. Luzern: Kunstmuseum Luzern, 1974.

Bibliografia scelta

  • Amman J. C., Alighiero Boetti. Catalogo generale. Milano: Electa, 2009-2023.
  • Boetti A., Il gioco dell’arte, Milano: Electa, 2016.
  • Amman J. C., Roberto M. T., Sauzeau A., Alighiero Boetti: 1965 – 1994. Milano: Mazzotta, 1996.
  • Amman J. C., Alighiero e Boetti. Luzern: Kunstmuseum Luzern, 1974.

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